In passato, tutti hanno cercato in qualche modo di tirare Machiavelli
dalla propria parte. Il Risorgimento ne ha visto un anticipatore del processo
unitario; Croce vi ha trovato conferme alla sua idea di autonomia della
politica dalla morale; Mussolini ha tentato di fascistizzarlo: “La parola
Principe deve intendersi come Stato”, organizzatore e limitatore degli
individui che, “sospinti dai loro egoismi, tendono a disobbedire alle leggi, a
non pagare i tributi, a non fare la guerra”. Durante la Guerra Fredda, gli
ideologi occidentali vedono in Machiavelli un difensore della libertà, “un
vizietto che i neo-conservatori statunitensi non hanno perduto“, ironizza Carlo Gambescia [nel saggio introduttivo]. Qualcuno ha studiato il rapporto fra Machiavelli e la
post-modernità, “così, tanto per non farci mancare niente, si avrà prima o poi
persino un Machiavelli liquido”.
Invece, da parte di Mosca, la lettura di Machiavelli non è né particolarmente
elogiativa, né negativa.(...)
“Non
si diventa furbi leggendo un libro in cui sono esposti i vantaggi della
furberia”, conclude Mosca; dunque, altrettanto, l’arte del potere “non si
insegna e non si può insegnare in un libro: è un dono di natura che si
perfeziona con la pratica del mondo e l’esperienza personale.A questo link, la mia recensione completa del saggio di Gaetano Mosca, pubblicata sul quotidiano Il Foglio di venerdì 23 febbraio.
https://www.ilfoglio.it/libri/2018/02/23/news/il-principe-di-machiavelli-180533/
Grazie della bella recensione, poco "liquida" molto "solida".
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